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Il Sinis di Cabras dalla preistoria al medioevo

La storia dell’insediamento umano nella Penisola del Sinis ha inizio nel Neolitico medio (V millennio a.C.) e si sviluppa con alterne vicende fino ai giorni nostri. I segni di questa millenaria occupazione del territorio si colgono, per le fasi più antiche, grazie soprattutto alle testimonianze archeologiche di particolare evidenza costituite dagli oltre 70 nuraghi disseminati in ogni angolo del Sinis e dai resti monumentali della città di Tharros.
Gli stanziamenti umani più antichi sono stati documentati in modo esemplare e significativo nel sito di Cuccuru is Arrius, posto sulla sponda sudorientale dello stagno di Cabras. L’area archeologica, estesa circa 12 ettari, fu indagata tra il 1976 e il 1980 prima di essere profondamente intaccata dai mezzi meccanici per far posto all’imponente opera del canale scolmatore.
La fase insediativa più antica attestata a Cuccuru is Arrius è rappresentata dalla necropoli ipogeica di cultura Bonuighinu datata al Neolitico medio (V millennio a.C.). Nelle fasi successive, tra il IV e il III millennio a.C., nel sito si insediarono popolazioni di cultura San Ciriaco (Neolitico superiore: IV millennio a.C.), di cultura Ozieri (Neolitico recente: IV-III millennio a.C.) e sub-Ozieri (Eneolitico iniziale: prima metà del III millennio a.C.), formando dei villaggi con strutture abitative parzialmente infossate nel terreno.
Altre testimonianze di età preistorica sono state individuate nel territorio di Cabras nelle località di Conca Illonis e di Is Aruttas. A Conca Illonis, sulla sponda sud-occidentale dello stagno di Cabras, accurate prospezioni di superficie hanno permesso di localizzare dei villaggi ascrivibili sia alle stesse fasi cronologiche e culturali documentate a Cuccuru is Arrius, sia alla cultura Monte Claro (Eneolitico evoluto: 2700-2200 a.C.). A Is Aruttas, lungo la costa occidentale del Sinis, fu indagata da E. Atzeni negli anni ’60 del secolo scorso l’unica domus de janas finora nota nel territorio cabrarese; nella grotticella, scavata in un banco di arenaria e con ingresso frontale, furono rinvenuti resti scheletrici e materiali di corredo tipici della cultura di Ozieri (IV-III millennio a.C.).
Considerando la distribuzione geografica di queste testimonianze, appare evidente il rapporto privilegiato che le popolazioni che si insediarono nel Sinis in età preistorica stabilirono con le aree prossime alle lagune, allo stagno e al mare, cioè agli ambienti naturali da cui esse potevano attingere le risorse fondamentali per la sussistenza.
Al momento appaiono decisamente scarse nel territorio le testimonianze riferibili al Bronzo antico (2200-1700 a.C.); a questo periodo può essere ascritta l’allée couverte (tomba a corridoio di tipo megalitico) individuata a Matta Tramontis, purtroppo recentemente distrutta dai lavori agricoli.
Nei successivi periodi del Bronzo medio (1700-1365 a.C.) e del Bronzo recente (1365-1200 a.C.) il popolamento del Sinis si intensifica, strutturandosi in forma stabile attraverso una fitta rete di nuraghi a tholos, cioè con camera circolare coperta da una volta di sezione ogivale; nel territorio di Cabras se ne contano ben 75, di cui 47 monotorre e 28 complessi, quasi tutti pervenutici in cattivo stato di conservazione. La densità è elevata: un nuraghe ogni kmq. La maggiore concentrazione si registra in rapporto all’altopiano basaltico, ma altrettanto numerosi sono nel bassopiano, a ridosso degli stagni e delle lagune e lungo la costa; nella stessa isola di Mal di Ventre, distante dalla terraferma circa 7 km, fu costruito un nuraghe. Caratteristici della fase nuragica del Bronzo recente sono i “depositi votivi” del nuraghe Sianeddu e del nuraghe Corrighias, composti da numerosi vasi anche di tipo miniaturistico, e allo stesso periodo risale la tomba di giganti individuata nel 1984 in località Sa Gora de Sa Scafa e successivamente distrutta, nel 1987, dai lavori agricoli.
Nel corso del Bronzo finale (fine XII-X sec. a.C.) e della fase iniziale della Prima età del Ferro (IX-prima metà VIII sec. a.C.), il sistema insediativo nuragico subì notevoli modifiche. I nuraghi persero man mano la loro funzione originaria, per cui il popolamento si ridefinì sul territorio strutturandosi quasi esclusivamente in villaggi anche di notevoli dimensioni. Il loro numero è rilevante: secondo le più recenti indagini sono quasi trenta, con strutture murarie talvolta ancora in evidenza. All’età del Bronzo finale risale inoltre il tempio a pozzo di Cuccuru is Arrius, scavato nel 1979 e fortunatamente salvaguardato nell’isolotto risparmiato al centro del canale scolmatore. Un altro tempio a pozzo simile, ma non esplorato, è segnalato in località Sa Gora de sa Scafa. Altri insediamenti di età nuragica, senza nuraghe e distinti dalla presenza di numerosi pozzi, sono stati indagati di recente in località Sa Osa, in prossimità della sponda destra del fiume Tirso. Infine le monumentali statue in pietra rinvenute a Monti Prama, associate a delle tombe a pozzetto datate tra l’VIII ed il VII secolo a.C., possono essere giustamente considerate una eccezionale testimonianza delle fasi conclusive della civiltà nuragica nel Sinis.
L’arrivo dei Fenici, che si data in genere a partire dalla fine dell’VIII sec. a.C., dà avvio ad un mutamento sostanziale nell’assetto del territorio. Le tracce della più antica presenza semitica sono segnalate nella città di Tharros, essenzialmente nelle aree funerarie e nel tofet. Al momento non sono state individuate le strutture dell’abitato arcaico, la cui localizzazione è ancora in discussione. Quanto alle necropoli, sia le ricerche ottocentesche che quelle degli ultimi anni hanno documentato tombe fenicie ad incinerazione con corredi che però non salgono oltre l’ultimo quarto del VII sec. a.C. Quanto al tofet, il tipico santuario cittadino fenicio-punico, caratterizzato dalla deposizione di urne ceramiche contenenti i resti incinerati di bambini morti in tenerissima età, di feti e di piccoli animali (ovicaprini), i materiali più antichi recuperati si riferiscono anch’essi al VII sec. Con l’avvento cartaginese nell’isola, nella seconda metà del VI sec. a.C., aumentano in maniera considerevole le tracce archeologiche sul territorio. Tharros, soprattutto nel corso dei secc. V e IV a.C., assume un aspetto monumentale; la città viene dotata di un circuito difensivo e vengono impiantati diversi templi. Nelle necropoli, accanto alle sepolture a fossa del periodo precedente, vengono scavate nel banco roccioso le tipiche tombe a camera con accesso a corridoio gradinato e sepolture a fossa parallelepipeda con copertura a lastre; sono queste tombe ad aver restituito nell’Ottocento i numerosissimi materiali di corredo, anche preziosi, che attualmente si trovano dispersi in numerosi musei italiani e stranieri.
Il tofet continua ad essere utilizzato ed anzi a questo periodo si riferisce la gran parte delle stele in arenaria, riproducenti spesso l’edicola sacra con all’interno il simulacro della divinità, che si associano alle deposizioni in urna. Ancora sulla collina di Murru Mannu si impianta un quartiere artigianale destinato prevalentemente alla metallurgia del ferro.
Le tracce insediative fenicio-puniche finora segnalate al di fuori della città si datano a partire dal VII sec. a.C. e sono costituite da pochi frammenti ceramici localizzati presso alcuni nuraghi. Nel corso dei secoli successivi, ed in particolare nel IV e III a.C., si verifica una progressiva diffusione nel territorio con una fitta rete di piccoli insediamenti rurali, individuabili dalla presenza in superficie di materiali ceramici; tali villaggi, le cui strutture se ancora conservate si trovano completamente interrate, sono tutti di dimensioni assai modeste, talvolta si situano presso i nuraghi ma più spesso sorgono in aree pianeggianti, particolarmente lungo la riva nord-occidentale della laguna di Mistras e attorno all’altopiano. Tale pressione antropica si spiega agevolmente nel senso di uno sfruttamento capillare del territorio, voluto da Cartagine per garantirsi le risorse agrarie necessarie al mantenimento del suo impero. Le necropoli sono al momento poco note, mentre rimane testimonianza di culti di tipo agrario e salutifero in alcuni luoghi sacri ubicati presso gli stessi villaggi.
Con la conquista romana dell’isola, avvenuta nel 238 a.C., anche il territorio del Sinis comincia a subire quel fenomeno di lenta romanizzazione che si protrae per diversi secoli. Della Tharros di età repubblicana sono rimaste solo alcune tracce, tra cui il cosiddetto tempietto K, sul versante orientale del colle di S. Giovanni, e le strutture difensive in basalto di Murru Mannu. Nella zona rurale si manifesta una fortissima continuità negli schemi insediativi rispetto al periodo precedente, tanto che in tutti i villaggi punici la vita prosegue senza alcuna soluzione fino alla prima età imperiale (I sec. d.C.) e così nei luoghi di culto con manifestazioni del tutto analoghe; può ricordarsi al proposito il sacello individuato a Cuccuru is Arrius presso il tempio a pozzo nuragico, che ha restituito numerose terrecotte di divinità femminili e lucerne.
A partire dal II sec. d.C. si manifesta invece un mutamento radicale che interessa sia il centro urbano che il territorio. Tharros viene dotata di una serie di edifici pubblici, tra cui le tre terme, il castellum aquae, alcuni templi; viene pianificato il quartiere abitativo di Murru Mannu secondo uno schema ortogonale. Il sistema viario interno viene pavimentato con lastre in basalto e viene realizzata la rete fognaria per lo smaltimento a mare delle acque sporche.
Nel territorio scompaiono molti dei piccoli villaggi rurali di età precedente ma se ne sviluppano altri di maggiori dimensioni e in numero minore. Resti monumentali di edifici in laterizi si individuano presso S. Salvatore, dove si conserva parte di un impianto termale noto come Domu’e Cubas, in prossimità del Nuraghe Angios Corruda e in località S’Arburi Longu.
Con l’età tardo-antica e alto-medievale (IV-VI sec. d.C.) si assiste a Tharros ad un rimaneggiamento delle strutture pubbliche preesistenti, in particolare delle terme, e probabilmente ad una progressiva riduzione dell’area abitativa. Nel territorio si documentano invece alcuni grandi insediamenti, il più esteso dei quali sembra svilupparsi tra la piana di S. Salvatore e le località di S. Giorgio, Sa Rughe Zanda e Sa Pedrera; ad esso deve attribuirsi l’ipogeo di S. Salvatore e l’officina per la fabbricazione di laterizi individuata in località Sa Ferrera.
Per l’età bizantina di grandissima importanza è il sito di S. Giorgio, dove sorgeva una chiesa dedicata al santo, nota ancora nei testi seicenteschi ma andata distrutta in seguito a lavori agricoli recenti. Attorno all’edificio chiesastico si sviluppava un un’area cimiteriale; i numerosi materiali ceramici e in metallo recuperati in superficie sono datati per lo più tra il VI e il VII sec. d.C. Di grandissimo rilievo è un lotto di 78 sigilli in piombo: si tratta di 72 esemplari bizantini (VI-VIII sec. d.C.), pertinenti sia a personaggi di rango civile e militare che ecclesiastici, uno o due del Giudicato di Arborea (XI sec.) e quattro islamici. I sigilli, provenienti in gran parte da una ristretta area a sud della chiesa, dovrebbero appartenere ad un importante archivio bizantino e giudicale.
Con il declino di Tharros e, nell’XI sec., con lo spostamento della sede episcopale e della capitale giudicale a Oristano, il Sinis si spopolò, favorendo lo sviluppo della villa di Cabras, originatasi da una domus di proprietà della famiglia giudicale.

Mappa della Costa del Sinis
Carta del Sinis con le principali emergenze storico-archeologiche (tratta da “I quaderni a.m.p 02: storia e archeologia”, p. 9)

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